Quando si parla di tutela dei diritti fondamentali, il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rappresenta il punto d’arrivo di un percorso lungo, complesso e non privo di ostacoli tecnici. Troppo spesso, nel linguaggio comune, si confonde il ruolo della Corte EDU con quello di un ulteriore grado di giudizio rispetto alla Cassazione, ma la sua funzione è completamente diversa. La Corte di Strasburgo non riconsidera i fatti né corregge gli errori di diritto commessi dai giudici nazionali: essa interviene soltanto quando è in gioco la violazione di un diritto convenzionale riconosciuto agli individui e alle persone giuridiche dagli articoli della Convenzione europea del 1950 e dai suoi Protocolli aggiuntivi.
In questo senso, il ricorso non è una prosecuzione del giudizio italiano, bensì un procedimento autonomo di natura internazionale che si fonda sul principio di sussidiarietà e sul rispetto della sovranità statale.
La prima condizione per potersi rivolgere alla Corte è aver esaurito i rimedi interni. Ciò significa che il cittadino deve aver percorso tutte le vie giurisdizionali disponibili nel proprio ordinamento, fino alla pronuncia definitiva della Corte di Cassazione o del Consiglio di Stato, a seconda della materia. Solo dopo questa fase si può parlare di effettiva possibilità di accesso a Strasburgo, purché il ricorso venga presentato entro quattro mesi dalla data della decisione interna definitiva. Un ritardo, anche minimo, comporta la dichiarazione di irricevibilità.
È questo uno degli aspetti più delicati della procedura, che spiega perché sia sempre raccomandabile affidarsi a un avvocato esperto in diritto internazionale e pratico delle regole procedurali della Corte EDU.
Un’altra condizione essenziale riguarda la qualità del ricorrente. Può proporre domanda chiunque si ritenga vittima di una violazione della Convenzione da parte di uno Stato parte, sia esso una persona fisica, una società o un’associazione. La Corte ammette anche la possibilità di presentare un ricorso con più ricorrenti, purché vi sia una base fattuale e giuridica comune.
Questo aspetto ha particolare rilievo in casi collettivi o in vicende che coinvolgono categorie omogenee di persone, come ad esempio funzionari, detenuti o proprietari di immobili soggetti a misure restrittive simili.
Il ricorso deve essere redatto sul formulario ufficiale predisposto dalla Corte, compilato in tutte le sue sezioni e accompagnato da documentazione completa e leggibile. L’inosservanza delle istruzioni può determinare l’immediata esclusione del fascicolo. Una volta notificato allo Stato convenuto, il ricorrente deve essere rappresentato da un avvocato abilitato in uno degli Stati contraenti, che gestirà il procedimento in lingua inglese o francese, salvo diversa autorizzazione. La Corte può concedere, in casi di comprovata difficoltà economica, l’ammissione al gratuito patrocinio per coprire le spese legali della fase successiva.
Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo costituisce dunque uno strumento di garanzia di straordinaria importanza, ma anche un meccanismo tecnico che richiede competenza, precisione e conoscenza della prassi internazionale. È la via più alta e complessa per ricorrere contro una sentenza ingiusta, ma anche la più efficace quando i diritti convenzionali vengono negati o disattesi. Approfondire il tema e comprendere quando e come utilizzare questo rimedio è fondamentale per chi intenda agire con consapevolezza. Maggiori dettagli sono disponibili nell’articolo pubblicato sul sito dello Studio Legale Parente Bianculli, dedicato a chi desidera conoscere tutti gli aspetti pratici del ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dei diritti tutelati dalla CEDU.